martedì 3 giugno 2014

I vizi e le virtù dell'alveare


«Le api sono state per noi quel che sono le nuvole: ciascuno vi ha visto quel che vi voleva vedere». Così il (politicamente) volatile Michel de Cubières riassunse in una frase la travagliata storia politica dell'alveare. Arruolate sotto tutte le bandiere, le api hanno servito nei secoli la propaganda di ogni schieramento. Piacevano, ovviamente, ai monarchici, che vedevano nei docili e ordinati imenotteri, laboriosi e naturalmente rispettosi della gerarchia, la migliore immagine del suddito ideale dell'ancien régime. Proprio per questo, quando, nel 1792, il Chevalier de Cubières, allora più opportunamente noto come Citoyen Cubières, dava alle stampe il suo poema sul “governo felice” delle api, anche l'ordine stabilito della “monarchia femminile” (come l'aveva definita il naturalista inglese Charles Butler, nel 1609) era travolto dall'impeto dei venti rivoluzionari. Furono infine i naturalisti dell'Ècole Normale ad assumersi l'incarico di detronizzare la regina delle api, facendo dell'alveare una repubblica. Se ne discusse nel corso di storia naturale del professor Daubenton, nell'anno III. Non è vero, sosteneva Daubenton, che l'alveare è retto da un monarca: quella che erroneamente si chiamava “re” o “regina” delle api, confondendone il ruolo non meno che il sesso, altro non è che una “ape madre”: una specie di “fattrice”, buona solo per deporre le uova. Nell'arnia repubblicana, è lo sciame la fonte della sovranità. Frugali, egualitarie e pronte a difendere il loro alveare, le api erano ora diventate l'immagine ideale del cittadino vagheggiato sui banchi dell'Assemblea Nazionale. Non sono forse loro a selezionare la regina, nutrendola di pappa reale con quella che poteva ben sembrare una versione alimentare del suffragio universale, e addirittura a liberarsene, quando non serve più e occorre sostituirla con una nuova? Le api non solo non erano monarchiche, ma all'occorrenza addirittura regicide.
La restaurazione proverà a cancellare il ricordo delle api giacobine: ancora nel 1819, Joseph De Maistre recuperava, nel suo libro sul Papa, l'analogia tra l'alveare e la monarchia assoluta. Provate a togliere la regina dall'alveare, chiedeva polemicamente il pensatore savoiardo: avrete tante api quante ne vorrete, ma non avrete mai uno sciame. Ossia: tagliate pure la testa ai re, e non vi sarà più nessuna nazione: solo un popolo disperso e senza guida. Nonostante gli sforzi di De Maistre, e quelli di Carlo X, delle vecchie monarchie assolute non era rimasta che l'allegoria. Alla fine, anche le api dovettero adeguarsi all'industrializzazione. Organizzate dall'apicoltura moderna in arnie “razionali”, che permettono di raccogliere il miele senza distruggere lo sciame, le api si prepararono per la loro ultima reincarnazione: le perfette operaie delle comunità industriali progettate dai socialisti utopisti. L'arnia come falansterio: un'organizzazione razionale e cooperativa, guidata da una regina la cui unica preoccupazione è il benessere dello sciame.