mercoledì 16 ottobre 2013

Le Lezioncine Americane, ovvero Il Calvino Ridimensionato

A quanto pare, si diffonde l'uso di parlare con sufficienza delle "Lezioni americane" di Calvino . Ieri Sandra Petrignani, commemorando il 90° anniversario della nascita di Calvino sull'Unità, le ha liquidate in poche righe: "lezioncine [...] francamente deludenti". Per andare alle radici di un giudizio tanto sbrigativo, bisogna leggere il saggio pubblicato qualche anno fa su Belfagor da Claudio Giunta, e poi riproposto su minima & moralia. Il saggio di Giunta meriterebbe, in realtà, un'analisi tanto approfondita quanto quella che il suo autore dedica a Calvino, ma non è questo il luogo. Da calviniano di lungo corso, devo ammettere che, sotto molti aspetti, il saggio è condivisibile, soprattutto nelle considerazioni generali. Ad esempio quando parla dell'uso che fanno gli umanisti del linguaggio della scienza (o della logica). Così come è centrata sull'obiettivo la polemica sulla "mania" della metaletteratura, che tanto ruolo ha avuto nelle lettere contemporanee, da Eco in su. Persino l'accostamento ad Arbasino, per quanto forse eccessivamente ingeneroso, è retoricamente azzeccato e non privo di una sua illuminante verità. Devo anche dire che, benché calviniano osservante e praticante, penso che avesse ragione Gore Vidal: è vero che il soggiorno a Parigi non ha giovato alla prosa di Calvino.

martedì 19 marzo 2013

Putain, on va taper!


Un articolo apparso qualche tempo fa su Popular Mechanics ricostruiva gli ultimi minuti nella cabina di pilotaggio del volo AirFrance 447 Rio-Parigi, a partire dalle registrazioni della scatola nera. È una lettura per molte ragioni interessante, anche se per me, che di tanto in tanto faccio più o meno la stessa rotta, ha un che di raggelante. A conti fatti, quel che PM suggerisce è che tutto quel che è accaduto sia stato causato, principalmente, dalla difficoltà dei membri dell'equipaggio a comprendere, prima ancora che ad affrontare, una situazione eccezionale, per sostenere la quale non erano assistiti né dall'esperienza né dalla strumentazione elettronica. Anzi, PM suggerisce che, in effetti, la strumentazione elettronica ha finito per avere un effetto deleterio, aumentando la confusione e l'incertezza nell'equipaggio. Rimasti soli di fronte a una situazione inedita, costretti a pensare in pochissimo tempo e sotto stress a soluzioni creative e fuori dalla routine, i copiloti e il capitano hanno perso completamente ogni punto di riferimento e hanno iniziato ad agire irrazionalmente.

mercoledì 13 febbraio 2013

Le donne al tribunale

 
"Subito la sua attenzione fu attratta da dodici o quindici belle signore che riempivano le tre logge sopra gli scanni dei giudici, proprio di fronte alla sedia dell'imputato. Volgendosi verso il pubblico, vide che anche la tribuna circolare sovrastante l'anfiteatro era piena di donne: per la maggior parte eran giovani e gli sembravano molto belle: avevano gli occhi accesi e pieni d'ansia".
Stendhal, Il rosso e il nero (trad. D. Valeri), Firenze, 1965, p. 522
(Francesco Netti, "Nella corte d'assise")

Una delle più note commedie di Aristofane si intitola, in italiano, “le donne all’assemblea”, o, com’è a volte erroneamente tradotto, “le donne al parlamento”. In realtà, l’assemblea cui si fa riferimento, l’Ecclesia (da cui deriva il titolo originale Ecclesiazusai, “le consigliere”), non aveva solo funzioni legislative, ma anche giudiziarie. Insomma, le donne si intrufolano, nella commedia di Aristofane, nell’organo legislativo e giudiziario di Atene.
Un interessante articolo della Lettura del Corriere, segnala il cinquantesimo anniversario dall’ammissione ufficiale delle donne nella magistratura italiana. La svolta fu infatti la legge 66, varata, appunto, il 9 febbraio del 1963, nella quale si disponeva, all'articolo 1, che «la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera». Sul punto, l'Assemblea Costituente era stata reticente: non erano passate le richieste di sancire la proibizione dell'ingresso delle donne in magistratura (volta a volta giustificate da ragioni sociali, morali o fisiologiche), ma d'altra parte non si era aperta la porta, esplicitamente, alla loro ammissione. Del resto, ancora nella prima metà del secolo XX si discuteva, in Italia, sull'eventualità di permettere o no l'accesso delle donne alle aule di tribunale, e soprattutto di permettere loro di assistere tra il pubblico alle udienze penali. Si temeva che la loro presenza potesse perturbare la «solennità» del processo penale, introducendo una pericolosa destabilizzazione emotiva.